mercoledì 17 febbraio 2010

Pd, bufera su Blasi salta la segreteria- da www.lagazzettadelmezzogiorno.it

BARI -Si annunciava come l’assemblea regionale della «svolta», quella che avrebbe dovuto impalmare la nuova segreteria regionale che affincherà Sergio Blasi e la nuova direzione regionale. Finisce tutto, ancora una volta, a carte e quarantotto, con Blasi che annuncia il suo staff facendo rivoltare la sala (o meglio, le aree che compongono il Pd e che avrebbero dovuto essere «risarcite» nei posti di comando) e il partito che non ha nemmeno il numero legale per eleggere la direzione. Si scioglie l’assemblea, tutti a casa con i mal di pancia di sempre e il segretario (che pure aveva preannunciato alla «Gazzetta» piglio forte e decisioni ferme) che rimane con una segreteria a metà, tra gli immediati annunci di dimissioni e i «no grazie» di metà componenti.

Tutto sarebbe partito dai veti posti da Francesco Boccia, l’ex sfidante di Vendola alle primarie, nei confronti di Guglielmo Minervini, ritenuto dai più l’uomo giusto nel ruolo di coordinatore della segreteria. Veti che avrebbero reso difficile perfino la sua nomina a coordinatore del «caminetto», ovvero l’ufficio politico composto da parlamentari, consiglieri e sindaci delle grandi città che - anche a livello nazionale - si riunisce attorno al segretario. Al danno, poi, si è aggiunta la «beffa»: Blasi indica nel ruolo di coordinatore, senza averlo concordato coi diretti interessati, Pasquale Chieco, il dirigente del Personale alla Regione, uomo di fiducia di Minervini. Ma quella che voleva essere una «ricucitura» con l’area dei franceschiniani finisce per essere uno strappo. Chieco si sfila e, dietro di lui, preannunciano di sfilarsi - vista l’assenza di concordia - anche Moro, Popolizio e Patroni Griffi, tutti vicini all’area che aveva candidato Minervini alle primarie per la scelta del segretario. Ai mugugni più o meno taciuti, si aggiunge la contrarietà esplicita di Cinzia Capano e Giusy Servodio, le due parlamentari che più di altri si sono spese per la ricandidatura di Vendola alle Regionali, scontrandosi col partito dei «dalemiani» che volevano Boccia. «Quelle lacerazioni - hanno spiegato - non sono state nemmeno affrontate e questo modo di “ripartire” è il peggiore che si potesse trovare». Fuori la porta, con aria sbigottita, fuma una sigaretta l’assessore regionale Fabiano Amati, anche lui solidale con Minervini: «meno male che almeno sui 50 da eleggere per la direzione abbiamo lavorato con Mazzarano trovando il giusto equilibrio». Poche ore dopo sarebbe saltata anche la direzione, nonostante il «manuale Cencelli» seguito con stretta osservanza (25 in quota Blasi, 15 in quota Emiliano e 10 in quota Minervini).

Come se non bastasse, prima ancora che il segretario annunci i nomi della segreteria, il presidente Pd Michele Emiliano (silente, obbligato com’è dal ruolo) sollecita Blasi a non leggere pubblicamente i nomi dei suoi referenti, scelti dal segretario per lo staff (Messina e Pagano). Blasi capisce l’aria che tira, ma va avanti pronunciando il suo discorso anticipato alla «Gazzetta» contro il «partito degli assessori» e per un partito che sia la seconda ala del governatore Vendola (la metafora di don Tonino Bello). Ma anche annunciando che nelle liste dei candidati alle regionali il 30% dovrà essere riservato alle donne. Pochi resteranno seduti fino alla fine. Da 65 delegati si passa a 28, gli insofferenti abbandonano la sala. Va via, sconfortato, Nicola Latorre. Lascia l’Excelsior, adirato, Gero Grassi. Alberto Losacco chiosa: un veto su Minervini sarebbe su tutta l’area, ci aspettavamo un impegno di Blasi per il coinvolgimento di tutte le aree ma non è andata così». Minervini allarga le braccia: «il problema è del Pd non è mio. Ho svolto funzione di coscienza critica, continuerò a farlo».


Q

Ultime News inserite