domenica 28 marzo 2010

Astensionismo, rischio febbre «francese» sotto soglia 70,5%

BOLOGNA — C'è un numero chiave per capire se la febbre dell'astensionismo, alle Regionali di oggi e domani, sarà bassa, media o alta, fisiologica o patologica, in linea con la tendenza italiana al calo dei votanti degli ultimi 20 anni o invece amplificata dalla recente «sindrome francese». Quel numero è una percentuale: il 70,5 per cento di coloro che si recheranno alle urne. «Se la media dell'affluenza al voto
nelle 13 Regioni interessate sarà inferiore a questa soglia, allora si potrà parlare di onda anomala, di un astensionismo al di sopra delle attese com'è avvenuto in Francia» afferma Piergiorgio Corbetta che, affiancato da Pasquale Colloca, ha elaborato per conto dell'istituto di ricerca bolognese «Carlo Cattaneo» una sorta di guida alla lettura per decodificare il dato dell'affluenza e coglierne la valenza politica.
Incubo per partiti e candidati, il fantasma della disaffezione (con conseguente delegittimazione degli eletti) incombe come non mai sul voto di oggi, dopo una campagna elettorale sfregiata da scandali, strappi istituzionali, liste non presentate, teoria di ricorsi ai Tar: «Studi condotti in altri Paesi — prosegue Corbetta — dimostrano che le cosiddette campagne elettorali negative, volte a delegittimare l'avversario, hanno per effetto principale non tanto l'indebolimento della controparte, quanto un indebolimento generalizzato di tutti i contendenti provocato da una perdita di fiducia degli elettori nei confronti della classe politica nel suo insieme. Vista così, il rischio oggi in Italia è forte». Anche perché si inserisce in un trend tutt'altro che incoraggiante. È infatti dai primi anni Novanta, subito dopo Tangentopoli, che il partito dell'astensione punta verso l'alto. E se alle Politiche il calo dei votanti, pur consistente, è stato tutto sommato in linea con quanto avvenuto in altri Paesi (dal 94,2% del 1972 si è passati all'81,1 del 2008), alle Regionali la discesa è stata decisamente più rapida (92,8% nel 1970 contro il 71,5% del 2005: con un vero e proprio crollo dell'affluenza a cavallo tra il '90 e il '94). «Anche nei momenti di maggiore sfiducia — aggiunge Corbetta — le Politiche vengono vissute dagli elettori come il test per eccellenza, mentre le Regionali sono spesso lo specchio della disaffezione».
Partendo quindi dal presupposto che anche quest'anno vi sarà un calo dei votanti, i ricercatori del «Cattaneo» hanno provato a fissare delle soglie di allarme: «La domanda che ci siamo posti — ancora Corbetta — è la seguente: se avessimo ora, nel 2010, lo stesso livello di partecipazione al voto che si ebbe alle Politiche 2008 e lo stesso aumento dell'astensionismo alle Regionali rispetto alle Politiche che si ebbe nel 2000 e nel 2005, quale tasso d'affluenza alle urne dovremmo avere?». La risposta, appunto, è il 70,5% come valore medio tra le 13 Regioni interessate alle consultazione. Una stima che, rispetto al 71,5% delle Regionali 2005, rappresenterebbe, sì, un aumento dell'astensionismo, ma fisiologico. Il quadro cambia a livello delle singole regioni. Dato che i tassi di partecipazione sono diversi nelle varie aree del Paese, le soglie d'allarme variano da regione a regione. Lasciando da parte il Lazio, dove il pasticcio delle liste rischia seriamente di pregiudicare l'affluenza al voto («È lecito attendersi — dice Corbetta — un astensionismo fuori norma per effetto della mancata presenza sulla scheda elettorale del Popolo della libertà»), vi sono regioni tradizionalmente fedeli alle urne nelle quali, per poter parlare di astensionismo fisiologico e non di onda anomala, la soglia dell'affluenza dovrà essere più alta del 70,5%: è il caso dell'Emilia-Romagna (75%), Umbria (73,1%), Veneto (72,3%), Lombardia (71,8%). Situazione capovolta invece in Calabria, Puglia, Campania, dove basterà un'affluenza tra il 63 e il 67% per non dover scomodare la sindrome francese.
Francesco Alberti


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